“Ombre digitali sul lavoro sociale. Socioanalisi narrativa sulle derive del terzo settore”

Questo libro nasce da un cantiere socioanalitico tenuto da Renato Curcio tra gli ultimi mesi del 2021 e i primi mesi del 2022, presso l’Ambulatorio Medico Popolare di Via dei Transiti a Milano.

Al cantiere hanno partecipato attivamente, in diverse modalità, operatori del Terzo settore interessati ad esplorare i cambiamenti prodotti dalla digitalizzazione del lavoro nel campo dei servizi alla persona. Nel solco dell’esplorazione avviata con Egemonia digitale e La rivolta del riso, il cantiere ha messo in luce l’urgenza di un confronto collettivo sui significativi e profondi mutamenti di paradigma nel lavoro sociale.

Dalla introduzione, di Renato Curcio, a Ombre digitali sul lavoro sociale.

«Questo cantiere sulla digitalizzazione delle attività lavorative indirizzate alle fasce infragilite della vita sociale, ovvero a quelle persone penalizzate e ferite nei loro diritti elementari dal modello di sviluppo capitalistico occidentale, è nato sull’onda dello tsunami pandemico che si è abbattuto sulle operatrici, sugli operatori del privato sociale e sui destinatari dei loro servizi. Spingendo al limite alcune tendenze generali già maturate negli ultimi vent’anni, quell’onda ha portato in evidenza tre processi sociali le cui implicazioni per questo territorio appaiono dirompenti e aggravano, se possibile, la sua già compromessa situazione. Sono aumentati i senza terra da conflitti geo-politici e ambientali così come gli emarginati interni a seguito della digitalizzazione; persone indesiderate od obsolete, comunque sospinte in quella terra di nessuno che caratterizza ormai strutturalmente le aree metropolitane capitalistiche. Per affrontare le sfide concorrenziali i sottosistemi di questo modo di produzione hanno innalzato muri – la “fortezza Europa” – aizzato guerre e affidato ai processi di digitalizzazione di ogni cosa – aziende, scuole, pubblica amministrazione, comunicazioni, esercito – il compito di risolvere i problemi interni in chiave di profitto. Da ciò, ovviamente, il privato sociale non poteva restare fuori campo. Dico “ovviamente” perché a questo punto della storia anche i poveri e gli infragiliti sociali hanno cambiato statuto e sono stati paradossalmente risignificati come materia umana classificabile e traducibile in set di dati, come numeri da cui poter estrarre un qualche sia pure minimo margine di valore e di potere. Tuttavia, affinché questa cinica operazione di transizione digitale potesse compiere i suoi passi, la digitalizzazione forzata degli operatori sociali – di coloro cioè, detto brutalmente, che avrebbero dovuto “rendicontare” il loro operato e dunque catalogare, tracciare, sorvegliare e “curare” la materia prima, ovvero inserire in qualche dispositivo i dati necessari agli algoritmi di computazione affinché questi potessero sfornare classifiche, tabelle, informazioni riciclabili nelle manipolazioni dell’opinione pubblica o nelle campagne pubblicitarie ‘eticamente edificanti’ per i finanziatori – costituiva un passaggio obbligato. Bella impresa, davvero! Perché per compierla, prima ancora di costruire la nuova infrastruttura, occorreva anche smontare e demolire sistematicamente la cultura operazionale e politica da cui il lavoro con le persone in difficoltà era nato, germogliato e cresciuto. In questo quadro, le esperienze raccolte, la documentazione e le riflessioni analitiche che seguiranno hanno cercato di mettere a fuoco la qualità specifica delle discontinuità intervenute e le loro attuali implicazioni professionali e politiche. Dove con “politiche” non s’intende qualcosa che abbia in qualche modo a che fare con l’indecente abbandono che il sistema politico vigente con le sue scelte ha decretato. Qui, invece, ancora una volta con la locuzione “implicazioni politiche” intenderemo soltanto l’attenzione ai problemi realmente vissuti dai cittadini della Polis, ovvero dalla comunità vivente degli umani in relazione che viene prima di ogni altro interesse capitalistico, istituzionale o geo-politico. La restituzione dell’esperienza del cantiere socioanalitico è stata articolata per temi, ma si è ritenuto utile mantenere anche la vivacità dei frammenti narrativi dei partecipanti».


RENATO CURCIO, su questi temi e nell’ambito del suo lavoro di socioanalista, ha pubblicato in questa collana: La trappola etica, 2006; Respinti sulla strada, 2009; La rivolta del riso, 2014; L’egemonia digitale, 2016.

PAOLO BELLATI, operaio sociale, anima il Folletto 25603, spazio occupato e autogestito ad Abbiategrasso (MI). Tra i fondatori de La Terra Trema. Redattore de L’Almanacco de La Terra Trema. Con Renato Curcio ha partecipato attivamente ai cantieri socioanalitici e pubblicato: Respinti sulla strada (2009), Mal di lavoro (2013), La rivolta del riso (2014) per Sensibili alle foglie. 


Hanno partecipato attivamente al cantiere: 

MASSIMO ANGELILLI, DIEGO BALDINI, PAOLO BELLATI, SUSANNA BONTEMPI, FRANCESCO MAINIERI, SARA MANZOLI, NATALIA MENDEZ, LUCA LUSIARDI, LUCIA, ENRICO RIBONI, LORENA RONDENA, GIULIA SPADA, VALENTINA TRABUCCHI.

CHI SIAMO

Siamo una cooperativa di produzione e lavoro dal 1990. Proponiamo un modo di cercare, di porre domande sui vissuti, sui dispositivi totalizzanti,  sulle risposte di adattamento e sulle risorse creative delle persone che li attraversano.

NEWSLETTER